Quei 100 milioni per non rischiare un autogol
Il servizio civile universale ha bisogno di fondi per diventare effettivo e dare ai giovani le opportunità che meritano
L’avvio della Programmazione Triennale può essere, nel 2020, la modalità specifica con la quale il Servizio Civile Universale contribuisce a realizzare le sue finalità: costruire condizioni di pace e di giustizia, beni entrambi a rischio e formare cittadini impegnati.
I giovani, che sono stati al centro delle riflessioni del Presidente della Repubblica, del Papa, del Presidente del Consiglio, si potrebbe dire che da anni dicevano con i fatti che erano disponibili a impegnarsi. A stare accanto ad una persona fragile, a rendere fruibile una biblioteca, a monitorare la salute dell’aria o dell’acqua, a contribuire alla rinascita di piccoli comuni, a essere solidale con gli emarginati e con i migranti.
E contemporaneamente ad apprendere la difficile competenza della cittadinanza attiva e di operatore di pace.
A fronte di 1,5 milioni di richieste volontarie solo un terzo ha svolto l’anno di servizio, per esclusiva carenza di risorse pubbliche investite.
Nel 2020 le prospettive sono ancora peggiori. Dopo la ripresa nel 2015-2018, al momento ci sono risorse per 25.000 posti (erano 53.000 nel 2018).
In questo contesto inoltre si avvia la prima attivazione di un nuovo sistema di programmi di intervento con gli stress prevedibili sulle organizzazioni, soprattutto quelle radicate in diversi territori e operanti su molteplici settori sociali. La carenza di fondi renderà l’attribuzione del punteggio lo strumento prioritario.
Sarebbe un autogol per il Paese una così palese falsa partenza della Programmazione e per i giovani sarebbe beffardo chiamarlo Universale. Anche per questo la richiesta al Governo di stanziare almeno altri 100 milioni entro la primavera è la priorità.
Il secondo elemento di novità nel 2020 riguarda la governance del servizio civile: siamo di fronte ad un passo in avanti molto importante.
Dopo una governance, nel periodo 2006-2019, di fatto, del Dipartimento con gli enti, soprattutto del terzo settore ma anche pubblici di dimensione nazionale, simboleggiata nella Consulta Nazionale, adesso c’è un clima nuovo di collaborazione fra Stato e Regioni e PA e questo è un fatto molto positivo, il cui segno fondamentale è stato il parere sul testo del Piano Triennale e Annuale, a cui stanno seguendo le collaborazioni per l’accreditamento e la valutazione dei progetti.
Smentite quindi le preoccupazioni di emarginazione o di centralismo, non dimentichiamoci alcuni elementi storici che ci portiamo dietro.
Uno riguarda l’identità stessa del servizio civile, con conflitti sollevati da alcune Regioni sui quali è intervenuta la Corte Costituzionale.
L’altro riguarda l’obiettivo di assicurare adeguate posizioni di servizio su tutto il territorio, senza ingabbiare gli enti in 20 graduatorie di fatto regionali, comprimendo quindi la libertà e il radicamento delle organizzazioni.
Infine, in questa nuova situazione di collaborazione Stato – Regioni, c’è un soggetto in più al tavolo della governance oppure il Terzo Settore nazionale, che ha portato sempre un contributo di innovazione, di visione generale, di espressione dei territori oltre che una dote di migliaia di progetti e impieghi, viene invitato a stare nei ranghi?
Sarebbe paradossale dopo aver collocato il SCU nella riforma del Terzo Settore.
Licio Palazzini, presidente CNESC Conferenza Nazionale Enti Servizio Civile