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UN EFFETTO COLLATERALE

UN EFFETTO COLLATERALE

Non sapevo come entrare nell’ambiente lavorativo a cui da anni mi stavo preparando, mi sono vista sfumare davanti agli occhi una possibilità di stage che davo per sicura ed è così che mi sono ritrovata a vagare sul sito dei giovani del Friuli Venezia Giulia, il quale a sua volta rimandava a garanzia giovani che a sua volta portava al sito del servizio civile nazionale. Senza troppa convinzione scorro i vari progetti di servizio civile spuntando l’ambito che mi interessa “Educazione e promozione culturale” prima, “Attività artistiche” poi. Ero convinta i progetti fossero molto più focalizzati su occupazioni come assistenza ad anziani e disabili e con mia grande sorpresa scorgo questo progetto sul teatro tra 4 enti: Santarcangelo Festival, Arboreto, Arcipelago Ragazzi e Motus.

Ho un tuffo al cuore. I Motus (compagnia di teatro di ricerca, conosciuta a livello internazionale) li avevo da poco visti al teatro San Giorgio di Udine e me ne ero innamorata. Ed ora erano lì a cercare un volontario del servizio civile per fare esattamente quello che io avevo studiato.

Saltando tutta la fase di ansie, felicità, eccitazione, arrivo al punto in cui sono stata selezionata e arrivo a Santarcangelo di Romagna (la sede dell’ufficio organizzativo dei Motus e dunque del mio servizio).

La mia esperienza di servizio civile è nata come ricerca di un modo di entrare nel super serrato mondo del teatro. Inizialmente cosa fosse il servizio civile e quali fossero i suoi fondamenti, origini, principi mi era quasi del tutto oscuro e nemmeno mi interessava molto.

Questo è cambiato di lì a poco con le prime formazioni generali. Scopro la storia del servizio civile, il concetto di difesa non-violenta della patria (per quanto questa parola suoni datata ed evochi immagini antiquate e polverose), discuto con persone della mia età temi che difficilmente vengono sollevati agli aperitivi e scopro di avere una gran sete di questi momenti di confronto. Comincia a piacermi l’idea di essere parte di questo percorso, anche se è stato in un certo senso un effetto collaterale.

Dai Motus imparo un lavoro, una pratica quotidiana che mai potrebbe emergere dai libri dell’università. Conosco persone che sono completamente immerse nel teatro e dedicano a questo la loro vita. Sono stata accolta con calore e guidata generosamente alla scoperta di cosa vuol dire lavorare ancora più indietro del dietro le quinte, nel mondo della produzione, dell’organizzazione, della comunicazione e di tutto il lavoro che c’è appunto dietro la presentazione di un’opera teatrale.

E so che di strada ne ho ancora molta per arrivare a fare completamente mio questo mestiere.

Le ricadute positive sulla comunità o su un generico e sconosciuto “altro” non sono immediatamente visibili, come potrebbero essere insegnando italiano ad un migrante o offrendo assistenza ad un anziano, anche perchè il mio interlocutore quotidano è perlopiù lo schermo di un computer! Ma tutto il lavoro tende a quei momenti di incontro e scambio di energia con il pubblico che, in fortunati casi, generano una sensazione di gioia estatica, un’energia vitale di slancio verso un mondo diverso e migliore, una marea di domande a cui si cercherà una risposta, alimentando quella ricerca inquieta che è forse l’unico modo di essere individui attivi che generano il mondo, invece di subirlo.

Il servizio civile mi ha aperto le porte di un settore difficile da penetrare, dandomi accesso ad un ambiente di eccellenza in cui posso imparare un’infinità di cose e dove, per altro, sembra che io possa avere un futuro anche dopo il termine del servizio. Un quadro idilliaco insomma.

Ci sono però alcuni punti negativi che sono strettamente intrecciati a quest’idillio e non possono non essere affrontati. Il limite tra lavoro volontario e sfruttamento del lavoro a bassissimo costo è molto labile e il servizio civile sta a cavallo di queste due vicinissime sponde. L’idea del servizio civile come di un momento che sia contemporaneamente formativo per chi lo svolge e utile per la comunità che lo riceve e, di riflesso, per l’ente che lo finanzia (lo Stato, in questo caso), è ottima e ha tutto il mio sostegno.

I vari progetti proposti però dovrebbero forse avere diversi inquadramenti. Avere un rimborso spese inferiore a quello che spetterebbe ad uno stagista, essere considerati disoccupati dallo Stato (in quanto “volontari” e non “lavoratori”) e non accumulare nessun contributo per la pensione sono dei punti piuttosto discordanti con un lavoro che è tale a tutti gli effetti e spesso prende un tempo che va oltre le teoriche ore di servizio.

La mia esperienza rimane comunque molto positiva, spero solo che il servizio civile non si lasci essere un altro mezzo di sfruttamento del lavoro di giovani che non hanno altre possibili prospettive.