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RELAZIONE SULL’ANALISI DEI RISULTATI DEL QUESTIONARIO NELL’AMBITO DEL PROGETTO “La Memoria come strumento di educazione alla pace” Sede di Genova –

RELAZIONE SULL’ANALISI DEI RISULTATI DEL QUESTIONARIO NELL’AMBITO DEL PROGETTO “La Memoria come strumento di educazione alla pace” Sede di Genova –

In questa breve relazione saranno esposti i risultati relativi al questionario somministrato durante il progetto di Servizio Civile Nazionale “La Memoria come strumento di educazione alla pace”.

Il sondaggio d’opinione, presentato sotto forma di un questionario a risposte perlopiù chiuse, si è posto l’obiettivo di raccogliere le opinioni dei giovani (di età compresa tra i 18 e i 30 anni) al fine di comprendere quale fosse la loro posizione circa il tema della percezione della Memoria.

Strutturalmente il questionario si presenta diviso in diverse sezioni. Una prima parte, di impronta “storico-contenutistica”, che propone domande finalizzate alla rilevazione della conoscenza storica degli intervistati, una seconda con domande di merito e giudizio di valore, ed una parte, di impronta anagrafica, con la quale sono state raccolte informazioni circa le generalità dell’intervistato.

  1. Dati di rilevazione:

  • Schede raccolte: 100

  • Periodo di somministrazione: Ottobre 2017 – Gennaio 2018

  • Modalità di somministrazione: intervista face-to-face, supporto cartaceo

Per somministrare il sondaggio abbiamo deciso di avvalerci della metodologia face-to-face, supportata da copia cartacea del questionario.

Probabilmente non si tratta del metodo più pratico, in quanto questo presuppone una presenza costante del volontario durante la compilazione del questionario. Tuttavia abbiamo prediletto questa forma per evitare ulteriori insidie, quali il rischio che alcune risposte potessero apparire falsate (in seguito, per esempio, alla consultazione di un motore di ricerca o di un’altra persona).

Nonostante taluni incontri non siano risultati molto produttivi (alcuni soggetti, infatti, si sono rifiutati di partecipare alla raccolta di opinioni e nella maggior parte dei casi perché il questionario appariva troppo lungo), abbiamo tendenzialmente operato in ambienti positivi e interessati.

  • Sedi di somministrazione: Genova, provincia di Genova;

I questionari sono stati somministrati nella città di Genova ed in alcuni comuni della provincia.

Abbiamo incontrato i soggetti intervisti presso: la sede locale ARCI (rivolgendoci così ai giovani in servizio civile); luoghi di socialità e di aggregazione quali parchi, centri sociali, circoli ricreativi; luoghi di studio quali biblioteche, università, scuole medie superiori (non avendo avuto la possibilità di entrare ufficialmente in nessuna scuola, abbiamo raggiunto gli alunni appostandoci nei pressi delle medesime in orario di entrata – uscita. A tal proposito suggeriamo, per i bandi futuri di questo stesso progetto, la presenza di una referenza interna alle scuole per una somministrazione formalizzata). Abbiamo infine raggiunto anche i giovani lavoratori ed i NE’-NE’ (ossia coloro i quali non sono impegnati nello studio, né nel lavoro, né nella formazione) sottoponendo i questionari presso semplici luoghi di passaggio come, ad esempio, treni o fermate dei mezzi pubblici.

  1. Presentazione anagrafica del campione preso in analisi:

Al termine della raccolta dati abbiamo ottenuto un totale di 100 schede, ripartite piuttosto equamente in tre fasce d’età:

Di questi metà sono di sesso femminile e metà di sesso maschile; nonostante la relativa esiguità del numero di schede raccolte, però, l’anagrafica complessiva rispecchia dunque un modello realistico della società in cui viviamo, non andando ad inificiare il risultato statistico.

Inoltre, il 78% degli intervistati risulta risiedere nella città di Genova, mentre il 22% in provincia. I soggetti sono poi così suddivisi per titolo di studio:

Infine riteniamo interessante riportare i valori relativi allo stato di nascita dei genitori poichè, ovviamente, il frame culturale ed ambientale in cui un individuo risulta essere immerso decreta sensibili differenze relative alla percezione della memoria storica:

      • entrambi i genitori nati in Italia: 95%

      • entrambi i genitori nati in altro Stato: 4%

      • un genitore nato in Italia ed uno in altro Stato: 1%

Concludiamo così l’analisi dei dati raccolti, benchè in vero siano stati sondati altri aspetti anagrafici relativi agli intervistati in sede di somministrazione, poichè non consideriamo i medesimi particolarmente significativi ai fini dell’indagine stessa.

  1. Dati “storico-contenutistici”:

Riportiamo adesso i risultati relativi ai temi della memoria storica e dell’educazione alla pace, con particolare riferimento a due specifici contenuti della memoria stessa, ossia la Festa della Liberazione (25 aprile) e la Giornata della Memoria (27 gennaio).

Da essi risulta che la maggior parte dei giovani ha già sentito parlare di Lotta di liberazione, deportazione e Shoah, ma risulta piuttosto confusa circa la definizione dei gruppi di persone oggetto di deportazione (quasi tutti hanno individuato ebrei ed omosessuali, ma solo poco più della metà degli intervistati ha citato i “portatori di handicap” ed i “sinti e rom”; fanalino di coda, poi, per i prigionieri politici).

Di seguito vengono inoltre indagate: la percezione dei giovani relativa alla storia del nostro Paese negli anni ’30 e ’40 del ‘900, il ruolo rivestito dalle

famiglie, dalla scuola e dalla società in tutto ciò, nonchè le politiche della memoria attuate nel nostro paese:

  • relativamente ad una valutazione di ciò che “il regima fascista di Mussolini è stato”, il 27% ha risposto “una dittatura da condannare in parte, che ha perseguitato la comunità ebraica e i partigiani ma che ha portato beneficio agli altri italiani”, il 69% lo ha definito invece “una dittatura da condannare, che ha portato solo morte e sofferenze”. Infine però, un non poi così sottovalutabile 4%, ha descritto il regime fascista come “una dittatura da non condannare che ha mantunuto l’ordine e ha portato solo benefici agli italiani”:

    • è inoltre interessante notare come la maggioranza dei ragazzi sia fermamente convinta del fatto che le leggi razziali emanate nel 1938 siano state “imposte da Hilter” e non “volute da Mussolini”:

    • l’ultimo interrogativo posto agli intervistati riguardava, invece, la definizione della Resistenza italiana. Segue nel grafico la suddivisione dei risultati secondo le definizioni “contemporaneamente guerra civile e di liberazione”, “guerra di liberazione” o “guerra civile”

    • inoltre, secondo i giovani genovesi, la Resistenza ha riguardato “la gran parte delle forze politiche messe fuori legge dal fascismo (liberali, cattolici, socialisti, comunisti, anarchici)” al 52%; “soltanto gli italiani di una parte politica” al 27% e “tutti i cittadini italiani” al 21%.

      Vogliamo infine render noto ai lettori che il questionario ha raccolto ulteriori dati statistici relativi al ruolo percepito dello Stato e delle Amministrazioni pubbliche durante e dopo lo scempio nazi-fascista ma, dal momento che la grande maggioranza degli intervistati ha mosso rimostranze (per ambiguità o poca leggibilità della domanda), abbiamo preferito non soffermarci sull’analisi di tali dati.

Opinioni di merito ed esperienze personali:

L’ultima parte del questionario si è focalizzata, invece, su domande più strettamente personali, andando per esempio ad indagare se gli intervistati partecipassero o meno ad eventi di commemorazione.

Nonostante solo 6 su 100 abbiano ammesso di non sapere cosa sia la Giornata della Memoria e solamente 4 abbiano dichiarato di non conoscere il 25 Aprile, il 54% degli intervistati afferma di non partecipare alle cerimonie relative al 27 Gennaio e 55% risulta essere la quota degli assenteisti alle manifestazioni dedicate alla Festa della Liberazione:

  • partecipi alle celebrazioni dedicate alla Giornata della Memoria?

  • partecipi alle celebrazioni dedicate alla Festa della Liberazione?

    anche la percezione dell’”utilità” delle commemorazioni ricalca tali tendenze.

    Risulta più complesso, per via della possibilità di inserire svariate risposte multiple, elaborare in modo univico i dati risultanti della domanda che concerne lo status e il ruolo familiare degli intervistati durante la Seconda Guerra Mondiale. In linea di massima, però, essi seguono il trend nazionale e, in ordine decrescente, risultano essere così suddivisi: “hanno combatutto nell’esercito” / “hanno partecipato alla Resistenza” / “sono state perseguitate per ragioni politiche, religiose, etniche o altre” / “sono state deportate per ragioni politiche, religiose, etniche o altre” / “sono state fatte prigioniere” ed, infine, “hanno fatto parte della RSI (Repubblica Sociale Italiana o di Salò)”.

    I risultati alla domanda “pensi che a livello di opinione e dibattito pubblico, l’Italia abbia fatto i conti con la memoria di ciò che accadde durante la Seconda Guerra Mondiale” sono i seguenti, benchè forniti spesso con qualche remora per la suddetta questione di una presunta ambiguità del testo lamentata dagli stessi intervistatori:

    • in blu la percentuale di chi ha risposto “no, resta ancora molto da chiarire”

    • in giallo “no, la memoria su quegli eventi è ancora divisa”

    • in verde “si, chi dice che è divisa lo fa per interessi politici attuali”

 

  • quando abbiamo chiesto: “secondo te, a 70 anni di distanza, è importante parlare di cosa sono stati il nazismo e il fascismo e ricordare le loro vittime?”, abbiamo ottenuto risposte analoghe alle stime nazionali: circa il settanta per cento dei ragazzi ha risposto “si, perchè è un importante antidoto contro il razzismo e serve a comprendere dove può arrivare una dittatura”, mentre in quindici hanno affermato “si, perchè è giusto ricordare le vittime innocenti della guerra”. I restanti si sono suddivisi, in proporzioni quasi identiche, in tre risposte negative (in ordine decrescente): “no, non è importante: è meglio dimenticare il passato perchè sono fatti ormai troppo lontani” / “no, perchè penso fascismo e nazismo non siano stati fenomeni così negativi” ed, infine, “no, perchè non succederranno più”.

Questi dati, a nostro avviso, aprono un dibattito sulla sensibilità storico-emotiva del “giovane genovese medio” su diversi fronti. Sarebbe forse interessante indagare i percorsi mentali e le motivazioni che hanno fatto propendere per un’opzione piuttosto che per un’altra, siamo altrettanto certe però che un’analisi simile sarebbe piuttosto ardita da compiere attraverso lo strumento “questionario” per il fine statistico ed oggettivo del medesimo, nonchè per la mole di risultati differenti che si potrebbero ottenere.

Segue la domanda “ti informi autonomamente su Resistenza e Shoah?” a cui gli intervistati così rispondono:

a nostro parere, vista la tendenza generale del questionario, il valore positivo sembra essere arrotondato per eccesso. Va anche sottolineato, però, che chi ha risposto “non mi interessa”, ossia il 12%, supera quantitativamente ed in controtendenza la media nazionale (che si attesta “solo” intorno al 6%). I soggetti presi in esame hanno inoltre esplicitato che, per informarsi, utilizzano perlopiù internet e film, consultando raramente libri e giornali. La radio risulta invece, statisticamente parlando, quasi del tutto assente tra i mezzi d’informazione utilizzati dai giovani.

A quanto pare, inoltre, i soggetti intervistati valutano l’informazione ricevuta sugli argomenti Resistenza e Shoah “eccellente” solo all’1%, buona al 66%, scarsa ben al 29% ed insufficiente al 4%. Quando abbiamo loro chiesto, dunque, “dove hai discusso di Resistenza e Shoah” i risultati hanno propeso, nella stragrande maggioranza dei casi, per la “scuola”, praticamente l’unico luogo dove ancora oggi appaiono essere rimembrati tali eventi. Segueno le risposte “famiglia” ed “amici” che risultano comunque secondi, se non persino residuali, rispetto all’istruzione didattica. A quanto appena affermato si aggiungono i seguenti dati relativi alla domanda “considerando l’informazione che viene fatta dai media e attraverso eventi e manifestazioni, quali ad esempio approfondimenti e servizi tv, commemorazioni cittadine, mostre, approfondimenti scolastici, giornali e riviste, pensi che di Resistenza e Shoah si parli”:

Indicativo della scarsa conoscenza specifica del fenomeno locale, risulta essere infine la domanda “conosci dei luoghi della Memoria nella tua città o nel tuo territorio (luoghi in cui sono accaduti episodi di Resistenza, rastrellamenti, bombardamenti, eccidi, ecc)?” a cui solo il 38% ha risposto positivamente (e di questi ben pochi affermano di averli effettivamente visitati, perlopiù, comunque, in compagnia dei parenti o attraverso la partecipazione a gite scolastiche ad hoc). Tra le mete più conosciute dai giovani genovesi ricordiamo: l’Abbazia della Benedicta, il passo del Turchino, Cravasco e il campo dei partigiani al Cimitero monumentale di Staglieno.

Conclusioni e criticità

La memoria come strumento di educazione alla pace” è il primo progetto nazionale di ARCI Servizio Civile che si sviluppa su nove sedi (Bologna, Genova, Jesi, Milano, Piombino, Roma, Torino, Vicenza e Viterbo). La vocazione nazionale del progetto ha fatto sì che noi volontari potessimo vivere momenti condivisi tra le varie sedi, sia per quanto riguarda la formazione sia per quanto riguarda il lavoro stesso a cui ci stiamo dedicando. Altresì però, le realtà composite, plurime e complesse che si sviluppano, talvolta similmente ma talvolta in maniera diametralmente opposta nelle varie città, ha reso complessa la codificazione di criteri comuni d’approccio ai contenuti opinionistici e/o culturali. Alla luce di quanto sopra, tuttavia, abbiamo avuto modo di riflettere su certe rilevazioni che ci hanno effettivamente sorpreso.

In primis, la scarsa adesione alle manifestazioni (meno di un intervistato su due afferma di partecipare alle celebrazioni) ci impone una serie di interrogativi: perchè oggi quest’ultime risultano essere così poco attrattive? Sono forse da rivalutare nella forma o riorganizzare in altri aspetti più sostanziali?

Un’altra questione aperta riguarda il ruolo, assai poco incisivo, che gioca la famiglia nella trasmissione della memoria: se non ci fosse la scuola, spesso, il ricordo di questi eventi scomparirebbe dalla memoria dei giovani. Tra l’altro, come abbiamo modo di apprendere da alcuni intervistati, molte volte l’informazione è comunque determinata dal singolo insegnante e non, come dovrebbe essere, dall’istituzione scolastica nella sua totalità.

Secondariamente, per quel che riguarda la media nazionale, sono balzate alla nostra attenzione le differenti modalità di approccio degli intervistati alle tematiche della Shoah e a quella resistenziale: l’Olocausto viene oggi percepito come un evento maggiormente comunitario e facilmente attualizzabile attraverso la costruzione di un frame specifico riguardante la tematica del razzismo. Invece, il topic relativo alla Guerra di Liberazione paga probabilmente lo scotto della trasformazione che ha subito la nostra società negli ultimi decenni: la memoria di tale evento risulta infatti essere molto distante dalla realtà attuale, a volte commistionata da influssi etnico-culturali poco vicini al ricordo storico di ciò che fu la liberazione d’Italia. A tal proposito occorrerebbe forse inserire tra le modalità di risposta una forma appropriata anche per questo genere di tangibilità (italiani di seconda generazione, giovani migranti ecc…).

In ogni caso, secondo la nostra esperienza, anche in relazione ai risultati nazionali, possiamo affermare che quasi tutti i soggetti indagati sappiano cosa sia la Festa della Liberazione e la Giornata della Memoria, avendo a riguardo opinioni salde, seppur tuttavia differenti e talvolta persino contrastanti. A livello nazionale, tra le due celebrazioni, come suddetto, quella della Resistenza mostra problematicità superiori, evidenziando un dibattito ancora aperto sul tema. Sul 27 Gennaio, invece, si risalda un’opinione comune ispirata a giudizi positivi e unitari.

Queste sostanziali differenze tra i due temi d’indagine, comunque, non sono apparse così evidenti nel contesto genovese (ut supra grafici relativi).

Per terminare la disamina riguardante le criticità che a nostro avviso

dovrebbero essere suscettibili di modifica citiamo:

  • la struttura medesima del questionario, che probabilmente pecca di un’eccessiva lunghezza (alcune domande formulate figurano, inoltre, con una prosa complessa, ambigua e ridondante, mentre le risposte suggerite risultano spesso poco chiare ed esaustive);

  • la mancanza di un referente interno per introdurre il questionario all’interno di circoli e scuole che coadiuvi l’illustrazione della ricerca, la compilazione e la raccolta dei questionari;

  • l’assenza di una piattaforma riassuntiva dedicata ai dati raccolti dai questionari: essa avrebbe aiutato i volontari a non perdere la stima del lavoro già effettuato ed avrebbe fornito maggior puntualità ed accuratezza alle attività di studio ed interpretazione dei risultati rispetto al metodo analogico, mai scevro, per sua natura, da possibili errori.

Genova, maggio 2018,

Giulia Conti e Virginia Caneva