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La nostra personale Evoluzione Sociale

La nostra personale Evoluzione Sociale

Il 12 settembre è iniziata la mia esperienza di Volontaria del Servizio Civile Nazionale ed oggi, giunti quasi a metà del percorso, cercherò di fare un bilancio di quest’avventura.

Ho scelto di presentare domanda perché avevo bisogno di fare qualcosa che mi stimolasse, qualcosa che mi gratificasse a livello prima di tutto personale e che, soprattutto, mi facesse sentire “utile” a qualcuno e perchè no, anche a me stessa e leggendo il progetto ho avuto la sensazione che quello potesse essere un buon modo per realizzare tale bisogno.

” Da Dire a Fare – Progetto di evoluzione sociale”,è questo il titolo del mio progetto, ci ho messo un po’ a capire in cosa potessi essere maggiormente “utile”, quale apporto poter dare e in quale ruolo. Non avevo avuto grosse esperienze con i bambini, certo il Servizio Civile è un’opportunità di crescita e mettersi in gioco in ambiti meno familiari è sicuramente assai costruttivo, ma il progetto si rivolgeva anche ad un altro tipo di utenza, quella fascia di adulti che si trovano in situazioni di disagio di vario genere e ai quali doveva essere garantita una maggiore fruibilità dei servizi sociale e scuola, attraverso l’apertura di sportelli nei due uffici di competenza. Ho pensato che se mi avessero chiesto di esprimere una preferenza, mi sarei sentita più adatta per un ruolo d’ufficio, sentivo di essere più competente e sentivo che avrei potuto mettere a disposizione della struttura le conoscenze che avevo maturato nelle precedenti esperienze. Di fatti sono stata inserita nel settore sociale, nello specifico “Ufficio Casa”, il settore del comune che si occupa di politiche abitative.

Come si può “difendere la patria”, mettere in atto i principi di solidarietà sociale, collaborazione e cooperazione da una scrivania?

Da quando sono qui ho sentito tante storie, diverse tra loro ma simili negli effetti. Quando si perde una casa, quando perdiamo la nostra casa, perdiamo una parte di noi, perdiamo quel luogo che dovrebbe farci sentire sicuri, protetti, il luogo dove cresciamo e a volte decidiamo di crescere la nostra famiglia, il luogo dei nostri ricordi. Quando si perde una casa, si perde una condizione necessaria perché si possa parlare di esistenza dignitosa. In questi mesi ho imparato che la patria si può difendere anche da qui, ascoltando prima di tutto le persone che si rivolgono a noi ,mettendo a loro disposizione tutti gli strumenti in nostro possesso perché possano riacquistare piena “dignità”, si può difendere un cittadino dall’emarginazione, dall’abbandono e in alcuni casi dall’auto distruzione se ci si attiva affinché recuperi il proprio posto all’interno della società. Si può difendere e si difende onorando quel dovere, che è un po’ di tutti, di solidarietà e “compassione”, che non è provare pena e fare della carità, è comprendere il bisogno altrui e agire perché si possa trovare una soluzione. Io sono solo l’ultimo e il più piccolo degli ingranaggi di una macchina, quella delle istituzioni, che dovrebbe essere la prima a fornire risposte a questi bisogni, che dovrebbe essere garante dei diritti minimi, come quello ad un’abitazione dignitosa.

Ci sono stati giorni in cui sono tornata a casa e mi sono sentita sinceramente più ricca, ho sentito di aver realizzato quel bisogno iniziale di “ sentirmi utile” a qualcuno, e sono stati i grazie, sono stati i sorrisi degli utenti che hanno trovato una soluzione, sono stati i disegni di bimbi in attesa che i loro genitori finissero di parlare con qualche responsabile il vero valore aggiunto di questa esperienza, che oltre al piano professionale ti permette di crescere, prima di tutto, come persona.