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La cooperazione internazionale a Cuba

La cooperazione internazionale a Cuba

C’è una cosa che non avevo ben chiara al momento di partire per il mio servizio civile all’estero: che avremmo operato nell’ufficio di una ONG e che quindi la cosa porta con sé tutto il bagaglio della cooperazione internazionale.

Anche questo, ovviamente è imparare un mestiere. Appena arrivati, il nostro responsabile ci fece presente che avremmo piano piano capito i meccanismi cubani, cosa che francamente mi pareva normale, ma non immaginavo fino a che punto. E poi pian piano, facendo servizio civile in questa terra, ci si rende conto che Cuba è una nazione unica nel suo genere, nel bene e nel male, e soprattutto è una nazione che ha lottato e continua a farlo per la sua autonomia ed indipendenza, una nazione che insomma difficilmente si fa dire “come” da un paese terzo, che protegge molto la sua cultura e che politicamente si guarda bene dalle influenze estere, dalle quali in un passato più vicino di quanto si pensi è stata letteralmente traumatizzata e tutto questo è inevitabile che si ripercuota anche nel settore della cooperazione internazionale. Ora, ARCS, l’ONG che ci accoglie per il nostro servizio civile estero, opera in due settori principali: cultura ed agricoltura. Nel settore culturale Cuba è probabilmente molto più avanti di molti paesi europei, considerando anche le scarse risorse che ha a disposizione, ed anche molto aperta agli scambi e ben attiva. Io lo attribuisco anche al fatto che abbia un background molto saldo, delle fondamenta culturali veramente forti, e quindi in questo settore sia meno soggetta al “colonialismo”.
Invece per quanto riguarda i nostri progetti in campo agricolo, le difficoltà si presentano maggiori: la tendenza politica locale è quella di ottenere le risorse (macchinari, impianti ecc…), e in un certo senso, inibire la “cogestione straniera”. Per questo alcune volte diversi step sono andati a rilento, alla luce anche della complessa macchina burocratica necessaria anche semplicemente per l’importazione di un trattore. Vero è che il settore agricolo a Cuba è veramente affascinante: le risorse principali gestite dallo stato, dalle macchine per la lavorazione dei suoli (le poche a disposizione fanno il giro delle varie cooperative), ai vari concimi, al trasporto del raccolto. Quasi tutto è coltivato in biologico, e si pratica naturalmente la consociazione. D’altro canto, invece, la varietà dei prodotti coltivati è veramente scarsa, come anche l’attitudine dei cubani a mangiare frutta e verdura. Di fatto il problema di autosussistenza alimentare c’è, soprattutto nel settore cerealicolo, ed è piuttosto difficile intervenire nel settore. C’è un evento in particolare che mi è rimasto impresso, perchè in una sola frase mi si è palesata la motivazione di certe difficoltà. Parlando con un contadino, che quel giorno stava sistemando la sua moto, ascoltai testuali parole:
“I contadini cubani non sono mica come i contadini di tutto il resto del mondo! Noi non siamo ignoranti! Noi siamo colti e sappiamo quello che facciamo!! Guarda, io sono anche ingegnere”
La sanno lunga insomma, è vero.. e questo signore nella continuazione della chiacchierata me l’ha saputo dimostrare: sapeva di politica, d’ingegneria, di patrimonio genetico e di lavoro comunitario. D’altro canto però ci si rende anche conto che la dimensione del lavoro agricolo è piuttosto rallentata, poco stressata, un po’ all’antica se vogliamo, ma anche poco organizzata. Forse sembra che la sappiano lunga. Il problema è che sul mercato il fresco ha prezzi veramente poco accessibili alla maggior parte dell’utenza cittadina, e quindi si deduce che le produzioni non siano sufficientemente abbondanti, anche se sembrerebbe il contrario. Il fatto di saperla lunga probabilmente è direttamente proporzionto al limite fino al quale arriva il tuo sguardo.

Io, dopo questi mesi di servizio civile qui, non sono ancora in grado di giungere a nessuna conclusione, se non che noi abbiamo tanto da imparare dal modello cubano ma certamente anche il modello cubano da noi. Quello che ho imparato in questi mesi però, è che bisogna smettere di pensare alla cooperazione come un “ti diciamo noi come” e cominciare a pensarla più come ad uno scambio.